Viviamo in un’epoca in cui i social media sono onnipresenti e giocano un ruolo cruciale nella formazione delle identità dei giovani. Le piattaforme come Instagram o TikTok sono veri e propri mondi virtuali che modellano il modo in cui percepiamo noi stessi, gli altri e la realtà che ci circonda. Tuttavia, dietro la promessa di connessione e intrattenimento, si nasconde una questione centrale: l’alienazione digitale e la perdita del pensiero critico tra le nuove generazioni. Se Marx descriveva l’alienazione come una condizione in cui l’individuo si sente estraneo al prodotto del proprio lavoro e, più in generale, alla propria esistenza, in un mondo dominato dai social media, questa alienazione assume una nuova veste: la costruzione di un Sé virtuale. L’identità digitale, filtrata dalle aspettative altrui e dalle norme sociali dettate dai social, finisce per distaccarsi sempre di più dall’identità reale. I profili online sono versioni idealizzate dell’individuo, costruite per ottenere consenso. Questo processo genera una forte dissonanza cognitiva, con conseguenze sulla salute mentale dei giovani: ansia, depressione e un senso di inadeguatezza sono spesso alimentati dalla necessità di “performare” secondo gli standard irrealistici promossi dai social.
Charles Baudelaire ne I fiori del male descrive un’alienazione che riflette la condizione dell’individuo moderno che, pur immerso nella folla della Parigi industrializzata della metà del XIX secolo, prova dentro di sé un profondo senso di isolamento e disconnessione. Uno degli esempi più emblematici è la figura del flâneur, un individuo che vaga per la città, osservando la vita intorno a sé senza mai realmente parteciparvi. Il flâneur rappresenta una sorta di osservatore distaccato, che guarda il mondo attraverso un velo di indifferenza, incapace di trovare un legame autentico con ciò che lo circonda. E come non trovarvi una similitudine coi nostri giorni, in cui le persone sono costantemente immerse in un flusso di interazioni virtuali, le quali però mancano di profondità e autenticità. Come il flâneur di Baudelaire, l’utente dei social media può guardare la vita degli altri da una posizione distaccata, senza mai veramente parteciparvi. Gli scambi digitali possono dare l’illusione di una rete di rapporti sociali, ma spesso queste connessioni sono superficiali, producendo quella che stiamo definendo qui l’alienazione sociale.
I social media, con il loro flusso costante di contenuti frammentari, premiano la velocità e l’immediatezza delle risposte emotive piuttosto che la riflessione profonda. Il consumo passivo di informazioni, spesso presentate in modo sensazionalistico e decontestualizzato, riduce la capacità di analisi critica dei giovani e questo comporta la difficoltà di discernere la verità dalla disinformazione e il più grave offuscamento del pensiero critico. La capacità di pensare criticamente, di interrogare le fonti e di analizzare i contenuti, diventa sempre più fragile in un ambiente dove le fake news e le narrazioni semplificate dominano la scena. Per molti giovani, i social media diventano il principale strumento di informazione, privo della capacità di esplorare prospettive alternative, distaccandoli dal mondo fisico e dalle interazioni sociali. Un mondo monodimensionale, filtrato dai social media, che propone standard omologati di comportamento e pensiero, in cui non c’è spazio per la riflessione.
Di fronte a questa situazione, l’educazione al pensiero critico diventa una delle sfide più urgenti del nostro tempo. Se da una parte è essenziale insegnare ai giovan, ma non solo, come usare le tecnologie in modo consapevole, dall’altra è altrettanto cruciale fornire loro gli strumenti per decodificare il mondo digitale e sviluppare un approccio critico e riflessivo. Un’educazione tecnologica efficace non si limita all’acquisizione di competenze tecniche, ma include la capacità di riflettere sul proprio uso delle tecnologie e sugli effetti che queste hanno sul modo di pensare, relazionarsi e percepire il mondo. Il pensiero critico è, per me, una delle forze motrici del cambiamento sociale e culturale. In termini filosofici, non è solo un esercizio intellettuale, ma uno strumento per immaginare alternative al presente e progettare mondi diversi. Herbert Marcuse, nella sua opera principale, L’uomo a una dimensione (1964), critica la società tecnologicamente avanzata e capitalista per la sua capacità di neutralizzare il pensiero critico attraverso la creazione di un conformismo diffuso. Secondo Marcuse, tale società non solo sopprime la possibilità di una trasformazione radicale della società, ma costruisce una falsa coscienza che fa apparire desiderabili i suoi valori e istituzioni. La tecnologia, che potrebbe essere un benefit per l’uomo, viene utilizzata, invece, per mantenere il controllo sociale e per garantire la perpetuazione di un sistema oppressivo. In questa società a una dimensione, il pensiero critico è ridotto al silenzio attraverso la cooptazione delle sue stesse risorse e il distacco dalla realtà che ne deriva rende incapaci di confrontarsi con l’altro e col mondo quotidiano, di gestire le emozioni e le situazioni reali. L’immaginazione, che è una pratica indispensabile che si collega direttamente con la capacità del pensiero critico di costruire mondi alternativi, viene offuscata.
Tuttavia, esiste una possibilità di resistenza. La filosofia critica non solo smonta i meccanismi di oppressione, ma immagina alternative. Per costruire alternative al presente, il pensiero critico deve essere radicale e il cambiamento della vita umana deve essere quantitativo e qualitativo e noi, intellettuali di oggi, sottolineiamo che questo cambiamento avviene con una sensibilità emotiva e cerebrale che si nutre di cultura ed emotività. La tecnologia, d’altronde, non è intrinsecamente oppressiva, e con un uso diverso potrebbe diventare uno strumento di emancipazione, liberando l’uomo dal lavoro alienante e permettendogli di dedicarsi a una vita più piena e creativa. Ne è un esempio il tanto criticato lavoro da remoto, che invece libera chi ne può usufruire dallo stress del viaggio e dal tempo perso, che può essere dedicato alla propria vita personale.
Una critica intelligente della società contemporanea apre lo spazio per la costruzione di una nuova realtà, che non è un sogno irrealizzabile, ma un progetto concreto che ci spinge a non accettare passivamente il presente, ma a lavorare per trasformarlo. Un presente in cui lo smartworking venga apprezzato come uno dei vantaggi che la tecnologia ci può offrire e il cellulare in mano ai bambini, ad esempio, non venga dato con la leggerezza di un giocattolo qualunque; in cui i social vengano usati per diffondere cultura ed arrivare a più persone possibili; in cui le “connessioni” siano lo strumento efficace per far sì che, facilmente, scrittori di tutta Italia possano conoscersi e riunirsi.
Rivoluzione interiore per una trasformazione esteriore: l’uomo a una dimensione ha interiorizzato i valori di quel sistema che lo opprime. La liberazione avviene con il cambiamento nella coscienza individuale, dove il pensiero critico si traduce in una pratica di consapevolezza e riflessione continua su se stessi e sul mondo, e dove l’individuo recupera la sua autonomia di pensiero e d’azione, spezzando le catene invisibili che lo legano a un sistema di valori e significati alienanti. Il futuro dei giovani dipende dalla capacità di riconquistare uno spazio di autonomia e riflessione personale, in cui la loro identità non sia determinata dai like o dai follower, ma da un’autentica consapevolezza di sé e del mondo che li circonda.
Anna Lorenzini – L.A.Filosofia