C’era un volta l’Italia della crescita economica, del boom demografico, della dolce vita, di vacanze romane, del bel canto, delle melodie che la gente fischiettava per il mondo, delle ugole d’oro…
C‘erano, tra gli altri, Battisti e Dalla, Gianni Morandi, Celentano, Vecchioni, Herbert Pagani, Luigi Tenco, De Andrè, Gino Paoli, Peppino di Capri, i Dik Dik, Guccini, i Nomadi, i Camaleonti, Giorgio Gaber, Claudio Villa, Modugno, Buscaglione, Vianello…
C’erano le atmosfere da mito americano, che distribuivano nel mondo nuovi suoni, quali il blues, l’ R’n’B, il rock ‘n roll…
Finché, ad un tratto, anche grazie all’ispirazione di gruppi beat o rock come Beatles e Rolling Stones, nacque il garage rock.
Il garage rock, anche definito successivamente “sixties punk”, “garage punk” o “proto-punk”, diede il via ad uno stile caratterizzato da testi e modi di cantare poco sofisticati e spesso aggressivi.
Inizialmente non riconosciuto come genere musicale, divenne nel tempo la base della mentalità e delle sonorità punk. Fu così che nel 1974 questo genere musicale, il punk, cominciò ad imporsi nel mercato americano e, nel 1976, si sviluppò a livello internazionale prendendo sempre più piede, tanto da influenzare, con il suo movimento, numerose altre forme d’arte ed aspetti culturali in genere, come la letteratura, il cinema e la moda.
I brani definiti punk possedevano tutti ritmiche veloci, sonorità dure e testi dai contenuti provocatori, spesso trattando argomentazioni di connotazione politica, malessere o violenza.
La cultura punk, inoltre, fu probabilmente il primo approccio alla produzione musicale che oggi chiamiamo “indie”, abbracciando l’etica del “Do it Yourself”, ricercando l’autoproduzione e la distribuzione alternativa a quella mainstream.
Durante questo periodo di cambiamenti ed evoluzioni musicali, nasceva – artisticamente parlando – un cantautore in Italia, con spiccate doti musicali e propensione a testi decisamente punk, tanto da essere definito – per l’appunto – punk, quando ancora il punk in America era agli albori ed in Italia non si sapeva neanche di cosa si stesse parlando.
Nel 1973, quasi in anticipo con i tempi, esce il suo album “I Buoni e i Cattivi” e nel 1974, risulta essere, infatti, il primo cantante italiano ad essere etichettato punk, dai giornalisti.
Edoardo Bennato ha 27 anni e l’album che presenta è ruvido, scarno, ricco di sfottò e diretto, ma anche in grado di sbeffeggiare con la leggerezza della commedia napoletana, senza che neanche lo sfortunato di turno, preso di mira, se ne possa accorgere.
Dopo un’esperienza non felicissima ma formativa con la “Numero Uno”, l’etichetta di Mogol e Lucio Battisti, con la quale incide tre 45 giri tra il 1969 e il 1971, Edoardo Bennato si appresta ad entrare nella storia della musica italiana, collezionando primati su primati e dando il via e influenzando tutto il panorama rock, che caratterizzerà gli anni seguenti, da metà anni ‘70 a tutti gli anni ‘90.
I primati di Edoardo Bennato sono:
- Primo cantante italiano in assoluto a suonare l’armonica, nel brano “Le Ombre” del 1966.
- Primo cantante italiano a riempire lo stadio San Siro, con più di sessantamila persone, nel 1980.
- Primo artista al mondo ad aver pubblicato due album a distanza di soli 15 giorni, nel marzo 1980, copiato poi nientepopodimeno che da Bruce Springsteen, diversi anni dopo. Gli album di Bennato sono “Uffà! Uffà!” e “Sono solo canzonette”.
- Il primo cantante italiano, solista, ad esibirsi, nel 1976, al Montreux Jazz Festival.
E lui che le chiamava “solo canzonette”…
Vasco Rossi, prima di diventare la rock star italiana per eccellenza, ascoltava Bennato…
di Fabio Valerio