Come la solitudine è legata all’amore? Che la solitudine sia un modo per imparare ad amare noi stessi? Nietzsche diceva che l’attaccamento al prossimo è un mezzo per scappare da noi stessi, e se avesse ragione? Di certo per alcuni, molto, è cosi. Vediamo ogni giorno coppie, per esempio, stare insieme pur di non rimanere da soli; vediamo ragazze alla ricerca disperata del “principe azzurro”, vediamo matrimoni finiti che stanno in piedi perché le persone non sanno stare da sole o non hanno imparato a farlo. Attenzione non sto dicendo che stare insieme non è bello, anzi, ma vorrei sottolineare anche i lato positivi del saper stare con se stessi. Molto spesso si ricerca nell’altro la compensazione delle proprie mancanze, dei propri bisogni e questo non è sano per noi e per l’altro. La ricerca della metà mancante di cui parlava Platone è un’idea romantica che non deve essere interpretata come “compensazione” di qualcosa che ci manca, ma come naturale “completezza” del mio essere insieme al tuo. E se questa metà che ci completa fosse dentro di noi invece che in un’altra persona? Se ci sentissimo completi, se bastassimo a noi stessi non ameremmo l’altro di un amore più vero e profondo? Se, invece che cercare una persona che appaghi i nostri “buchi emotivi”, che curi i nostri traumi infantili, che compensi le mancanze dei nostri genitori, cercassimo in noi stessi la nostra completezza e risoluzione del nostro essere, no saremmo più felici? Io credo proprio di si!
Dunque, anche la solitudine, come l’Amore, ha le sue sfumature e di queste alcune sono necessarie per l’evoluzione dell’essere anche in termini emotivi. La condizione patologica che ci chiude al mondo, che porta il rifiuto dell’altro e della comunicazione nasconde sempre un disagio, e questo va affrontato per poter vivere serenamente. Ma non è altrettanto un disagio dover essere sempre impegnati in qualcosa? Dover sempre tenere la mente occupata? Dover sempre stare in compagni, seppure virtualmente come sui social? Di cosa ha paura chi non riesce a stare solo o in silenzio? Del rumore dell’Io, della propria Anima e dei propri pensieri, tipico di chi in fondo non si accetta, si detesta o semplicemente non gli è mai stato insegnato ad apprezzare la “noia” come momento di contatto con se stesso. Un tema delicato cui è rivolta la mia filosofia dello “sguardo interiore”.
L’Amore, di cui Platone ci ha dato la prima trattazione filosofica, nel Simposio, assume caratteri diversi, dall’amore sessuale a quello sublime; l’Amore definito come “mancanza” e desiderio di avere ciò che non si ha e di conservarlo. Il Fedro ha lo scopo di mostrare come l’Amore sensibile può diventare Amore per la sapienza, e quindi filosofia e il delirio erotico diventa un virtù divina che impegna l’uomo alla ricerca dialettica ( Fedro, 265 b). Dunque, la dottrina platonica è analisi delle caratteristiche, tutte positive, dell’Amore ma anche “modello di una metafisica dell’Amore” (Abbagnano) che porta l’uomo dal sentimento alla ricerca. Per Aristotele, l’Amore o è quello sessuale o è affetto o amicizia, in ogni caso è un’affezione che appartiene all’uomo in quanto essere composto di anima e corpo, e quando quest’unità no c’è più, scompare anche il sentimento, che sia Amore oppure odio. Ogni filosofo si è espresso a riguardo tanto che è impossibile farne una sintesi in un breve scritto.
Dai filosofi greci ai filosofi di oggi, razionalizzato, materializzato o sublimato, l’Amor è la forza che ci spinge, ci annega e ci sostiene nel mare della vita e forse la solutine è il presupposto per vivere appieno questo sentimento. In fondo Eros era solo.
Anna Lorenzini.