Max Scheler nasce a Monaco di Baviera nel 1874. Filosofo tedesco e uno dei maggiori esponenti della fenomenologia tedesca, ha studiato medicina, filosofia e sociologia e ha avuto una formazione religiosa ebraica nell’infanzia, voluta dalla madre, religione che poi abbandona per convertirsi al cattolicesimo che poi, nell’ultimo, nell’ultima fase della sua vita, abbandona anch’esso. E’ il filosofo della persona e della sfera affettiva della persona, proprio perché studia fenomeni quali risentimento, simpatia, amore, odio, la sofferenza, l’essere umile, l’angoscia e così via. Da giovane si appassiona alla lettura di Nietzsche e in questi temi ritroviamo l’impronta, ma in chiave Cristiana, tanto da regalargli il soprannome di “Nietzsche cattolico”. Riprende la filosofia husserliana in chiave etica, vedendo nella fenomenologia il metodo per individuare i valori, i quali consentono al fenomeno di mostrarsi.
Negli ultimi anni della sua vita lavora a questo saggio “La posizione dell’uomo nel cosmo” del 1928 in cui la sua critica più importante è mossa proprio alla filosofia che per secoli, secondo Scheler, ha trattato l’uomo senza considerare la sua concreta situazione emotivo-esistenziale. Il suo scopo non è quello di rendere soggettiva la filosofia, proprio perché l’uomo è una questione aperta che rimane tale e non definita in maniera costante, la sua essenza deve essere un atto di apertura al mondo che a sua volta costituisce l’essenza della filosofia. E’ l’antropologia filosofica che in questo saggio trova l’origine del suo nome e che rappresenta la volontà di superare un’indagine astratta in favore di un’analisi delle concrete strutture emotivo-esistenziali dell’uomo e della sua esperienza. Questo saggio precede il saggio di Cassirer “Saggio sull’uomo” (1948), di cui abbiamo parlato in un altro articolo, e nasce dalla volontà di esporre brevemente le idee di Scheler relative ad alcuni temi centrali dell’Antropologia filosofica e ne rappresenta un breve riassunto, attribuendo alla filosofia la responsabilità di assolvere al compito essenziale, come mai prima, di una scienza fondamentale relativa all’essenza della costituzione essenziale dell’uomo (L’uomo e la storia).
” …Eppure mai, nel corso di tutta la sua storia, l’uomo è stato così tanto enigmatico a se stesso come nell’epoca attuale.” Oh quanto è attuale questa frase, mi viene da pensare! Mi chiedo cosa direbbe oggi Scheler, nella nostra epoca, riflettendo sull’uomo e sulla sua condizione emozionale ed esistenziale, vedendo la regressione dei più sull’argomento, vedendo quanto poco l’uomo si ponga domande esistenziali e quanto poco applichi la filosofia alla quotidianità, insomma vedendo quanto poco il progredire del tempo e della storia abbia portato un parallelo progredire dell’antropologia filosofica! Oggi, coloro che si pongono queste domande, che lavorano in questo senso, che pure sono molti, credo che debbano affrontare uno sforzo maggiore nella comunicazione nonostante gli strumenti tecnologici di diffusione, che se da un lato aiutano a raggiungere le “masse”, e quindi risultano essere un beneficio, dall’altro donano la parola e la “popolarità” (per così dire!) a tutti, generando contenuti sterili e poveri di qualsiasi tipo di riflessione su cui valga la pena discorrere!
“Nell’istante in cui l’uomo s’è reso conto si essere sprovvisto di un sapere definitivo su se stesso, e contemporaneamente di non essere più intimorito da nessuna possibile risposta a tale interrogativo, in quel preciso istante sembra che gli sia risorto il coraggio della verità: il coraggio di porsi questa domanda essenziale conservandone tutta la problematicità e senza ricondurla immediatamente ad una qualche tradizione teologica, filosofica o scientifica. (…)” Era l’aprile del 1928 quando Scheler scriveva queste parole, con le quali consacrava una nuova forma di autocoscienza e di introspezione che raccoglieva e faceva tesoro dell’enorme patrimonio culturale derivato dai saperi particolari delle diverse scienze dell’uomo, approfondendo una nuova concezione dell’essenziale umano. Con l’Antropologia filosofica egli voleva dare una svolta alla filosofia del ‘900 fondando la filosofia sulla realtà umana, sulla situazione emozionale ed esistenziale dell’uomo del mondo, sgretolando le allora attuali antropologia scientifica, filosofica e teologia che riconducevano l’uomo ognuna al proprio punto di vista, ignorando una visione unitaria dell’essere umano. L’essenza dell’uomo non può essere dedotta né dall’una né dall’altra concezione e nel saggio vengono illustrati solo alcuni aspetti del problema, come ad esempio la posizione metafisica che l’uomo occupa. Col termine stesso possiamo pensare le caratteristiche particolari che l’uomo possiede come discendente animale, caratteristiche morfologiche che ne limitano la concezione. Ma lo stesso termine indica anche qualcosa di diverso, qualcosa che si oppone alla precedente concezione e tale che non esiste un altro termine simile e duplice. La seconda accezione, in contrapposizione alla prima, è quella che Scheler chiama concezione essenziale dell’uomo, della quale il saggio di cui parliamo, che nasce dalla medesima conferenza, tratta cercando di capire se la posizione particolare e unica dell’uomo che ne deriva, rispetto ad ogni altro essere vivente, sia legittima oppure no. Infatti, nella conferenza del 28 Aprile 1927 alla “Scuola di Saggezza”, il nostro Scheler per quattro ore riassunse i risultati di anni di riflessioni e studi e così diede vita all’Antropologia filosofica, che deve essere compresa, come egli stessi suggerì, e considerata alla luce non solo di questo testo ma anche di altre sue opere, contenenti temi essenziali per avere una visione più completa delle sue riflessioni e una maggiore comprensione. Seguirono molte interpretazioni diverse e limitanti dell’antropologia scheleriana che non avevano considerato totalmente le sue opere e che non avevano contestualizzato il suo progetto né dal punto di vista filosofico né da quello storico, appiattendo così questo filosofo su posizioni fisse, senza considerare gli influssi dei suoi studi, Nietzsche, come dicevamo all’inizio, Platone, Freud, Schopenhauer e altri non ancora scoperti appieno. La sua morte improvvisa, il 19 Maggio del 1928, stroncò altrettanto improvvisamente la sua attività filosofica così preziosa, proprio perché considera l’uomo una questione sempre aperta, la cui essenza è unica. La parte finale, dedicata alla metafisica e al rapporto tra metafisica e religione, pone come compito dell’antropologia quello di indicare, sulla base della struttura fondamentale dell’essere umano, come possano nascere tutte le opere e le capacità dell’uomo: linguaggio, coscienza, stato, comando, giusto, ingiusto, arte, mito, religione scienza, storicità, socialità e altro, tutte capacità che sono conseguenza dell’essere uomo e non causa. Questa sezione del saggio accenna alle conseguenze che tutto ciò che è stato esposto nei capitoli precedenti può portare per il “rapporto metafisico dell’uomo con il principio di tutte le cose.” Concludendo in questo modo, spero di suscitare la curiosità nei lettori, avendo volutamente non approfondito i concetti proprio per farli assaporare direttamente dalle parole di Scheler.
Un saggio da leggere per chi ama la filosofia e se si hanno delle buone basi degli autori citati si può comprendere la magnificenza, a parer mio, del suo pensiero senza imprigionarlo in un’unica teoria e comprendere il rapporto che ha con Kant, Platone, Freud, solo per citarne alcuni, è importantissimo a tale fine. Ma questo vale per ogni filosofo e si capisce bene il perché: nello studiare filosofia ci si rapporta ogni volta con un filoso nuovo da capire, del quale condividiamo o meno il pensiero, ma in ogni caso il rapporto, il confronto e la riflessione sono inevitabili, amarlo oppure no è inevitabile, ma mai odiarlo. Non si può odiare chi ci regala un ragionamento.
Anna Lorenzini.
- Max Scheler, “La posizione dell’uomo nel cosmo”, traduzione dall’originale del 1928 a cura di G.Cusinato, FrancoAngeli, 2003-2004.