Breve analisi circa il problema della coscienza nell’ambito del cognitivismo.
La scienza cognitiva, la cui nascita viene collocata convenzionalmente nel 1956, nasce dal confronto tra studiosi di intelligenza artificiale, psicologia, neuroscienza, linguistica (Chomsky), filosofia e antropologia, focalizzando l’attenzione sul funzionamento dei processi cognitivi individuali. Il cognitivismo classico, che giunge fino alla fine degli anni’80 e inizio anni ’90, concepisce la mente secondo l’analogia mente-computer, che caratterizza l’attività cognitiva come come il software di un PC, la cui struttura può essere ricostruita anche senza l’informazione dell’hardware, ovvero il corpo, l’ambiente e la società. Oggi, nelle scienze cognitive contemporanee, al fine di studiare la mente in modo più completo vediamo una rivalutazione di questi ultimi elementi, il substrato materiale diviene più importante e parte integrante dei processi cognitivi, il rapporto con il “software” diviene costitutivo e non più causale, per cui la metafora del pc non è più valida. L’approccio computazionale funzionalista studia il modo in cui la mente svolge le sue funzioni come calcoli computazionali, una mente funzionalista e computazionale, disincarnata e indipendente dal corpo e dall’ambiente. Nel modularismo o teoria modulare della mente, sostenuta da Fodor, ad esempio, la mente è caratterizzata da moduli specifici e incapsulati che hanno funzioni indipendenti tra loro e dalle altre capacità cognitive o altri moduli; sono strutture “verticali” con la funzione di trasformare gli input in rappresentazioni, usate poi dal SNC per rappresentazioni più complesse. Dunque, la mente è isolata dal mondo esterno e funziona con moduli connessi alle aree del cervello (modello sandwich di Hurley). Ancora con la teoria rappresentazionale della mente (Fodor), la mente è concepita come un sistema funzionale, un processo di elaborazione dell’informazione, i cui processi possono essere descritti come manipolazioni di simboli sulla base di regole sintattiche, le rappresentazioni sono simboliche e la cognizione può essere ricondotta ad un processo computazionale sulle rappresentazioni stesse. Ancora, nella teoria della mente (folk psychology) vengono indagate le capacità mentali che ci permettono di trattare gli altri individui come portatori di certi stati mentali, che non possono essere osservati direttamente, e di anticipare e spiegare il loro comportamento in base agli stati mentali stessi. Questi sono alcuni dei paradigmi che caratterizzano il cognitivismo classico.
Nelle scienze cognitive post classiche, invece, si sviluppano due principali direzioni di ricerca a partire dalla mente disincarnata computazionale: una direzione orizzontale, verso l’ambiente esterno e una direzione verticale verso l’interno, per cui lo studio è rivolto verso l’interno-cervello. In direzione dello sviluppo orizzontale, la mente emerge dall’interazione di più elementi, il corpo (comprensivo delle sue parti non neurali), l’ambiente fisico, l’ambiente sociale, i meccanismi cognitivi e le azioni del soggetto. L’interesse si sposta dalla mente disincarnata all’ interazione di vari aspetti esterni all’individuo e la mente viene considerata un fenomeno emergente dalla interazione di questi elementi. Lo sviluppo verticale (o verso l’interno), la cui espressione fa riferimento alla direzione mente funzionalista-cervello, sposta l’interesse dal livello funzionale della mente disincarnata ai processi neurali alla base degli stati mentali (le neuroscienze); sotto la spinta delle neuroscienze la mente collassa sull’attività neurale. Con lo sviluppo delle neuroscienze, verso la fine degli anni settanta, e con lo sviluppo della tecnologia (PET,TAC, eccetera), si inizia a correlare l’attività mentale all’attività neurale, studiando le relazioni fra strutture cerebrali e funzioni cognitive. Queste tecniche permettono di studiare l’attività della corteccia cerebrale, ma soprattutto quella delle strutture profonde, come talamo, ippocampo, …
Lo sviluppo orizzontale (verso l’esterno) fa riferimento alla direzione mente funzionalista-corpo-ambiente azione. Questa tendenza di studio è rappresentata in modo paradigmatico dalla concezione di mente estesa di Clark e Chalmers, i quali spiegano come la mente operi anche utilizzando le parti esterne del mondo come se fossero sue stesse parti integranti, ed individuano quattro condizioni fondamentali per distinguere gli elementi costitutivi di questa estensione. Un esempio, potrebbe essere un taccuino, che utilizziamo per annotare qualcosa di importante, e che funge da estensione della nostra memoria al pari della memoria biologica (principio di parità– esperimento mentale di Otto, affetto da Alzheimer). Dunque, la direzione di ricerca orizzontale muove da una mente individuale, disincarnata e isolata nel cervello, ad una mente che si estende verso l’ambiente (nel caso del taccuino un ambiente materiale). Da questo momento, molti scienziati e filosofi cognitivi iniziano a lavorare al concetto di mente estesa, trovando, negli ultimi 20 anni, paradigmi per cui si dà valore al ruolo del corpo e dell’ambiente fisico, come l’embodied e la grounded cognition. Nell’embodied cognition, la cognizione è incarnata, i processi cognitivi sono tali indipendentemente dai ragionamenti e dalle rappresentazioni. Questo paradigma si basa, oltre che sul livello percettivo, anche sul livello motorio, da cui deriva un approccio interazionale tra mente, corpo e azione e fenomenologia della percezione, aspetti che non sono stati presi in considerazione inizialmente dal funzionalismo, e che si trovano ora al centro dell’indagine, acquisendo maggiore rilevanza rispetto al ragionamento e alle attività astratte.
Un breve excursus, dal cognitivismo classico, che non ha una singola direzione di ricerca e in cui l’individuo è l’oggetto di studio e la mente collocata all’interno dell’individuo stesso, isolata da altri processi che la connettono alla realtà sociale e alle parti del proprio corpo, fino ai paradigmi cognitivi post-classici, in cui si fa strada l’interazione di più elementi e la distribuzione dei processi cognitivi su vari livelli (società, ambiente fisico, corpo…).
Attualmente, i passi in avanti delle neuroscienze, grazie allo sviluppo di tecnologie sempre più efficienti, che hanno messo in luce le relazioni tra attività neurali e alcune attività cognitive, propongono che la mente sia riducibile solo o almeno principalmente alle attività cerebrali, non prendendo in considerazione il corpo (anche nelle sue parti non neurali), l’ambiente, le nozioni di scopo, credenza o rappresentazione. L’ io non è considerato un’entità reale. La critica mossa è proprio quella di aver ricondotto il ragionamento al solo cervello e di avere quindi eliminato le nozioni “ingenue” (che non hanno base scientifica) importanti, cioè la parte qualitativa della mente, che, invece, ha portato risultati nella comprensione del comportamento altrui. L’abilità cognitiva con cui comprendiamo e interagiamo con gli altri (la cognizione sociale) coinvolge l’attenzione, la memoria, la cognizione affettiva, la percezione, il livello senso-motorio, proposto dai nuovi paradigmi delle scienze cognitive, e la metacognizione, che si posiziona nella mindreading, quindi nella concezione classica delle scienze cognitive. Lo studio della social cognition esamina il modo in cui gli individui elaborano e rappresentano le informazioni sugli altri, su se stessi e sulle situazioni sociali e si presenta come un approccio integrativo e interazionale di concezioni e teorie, vecchie e nuove, che pone nuove tesi di ricerca da implementare sullo sviluppo congiunto del sé corporeo e sé sociale e sulla consapevolezza di sé come prodotto sociale.
Anna Lorenzini