Il telefono squillò per un bel po’ prima che mi rispose.
“Pronto, chi è?” chiese con voce squillante ma riattaccai immediatamente.
Sentii il cuore che d’improvviso aveva ripreso a battere. Era così tanto che non lo sentivo. Oddio… Mi sembrava di essere tornato in vita dopo essere morto per anni.
Feci dei respiri profondi e guardai fuori dalla finestra, c’era un vento leggero che muoveva appena le chiome degli alberi e scorsi Mirko, che si allontanava con la sua auto un po’ scassata ma così funky.
Aprii la finestra e sentii i profumi e gli odori della città, della biancheria stesa, dei fiori e del gatto.
Mi ricordai di tutto questo, come se mi fossi svegliato da un lungo sogno, un incubo sogno, un po’ bello ripensando alla “malattia” Elisa, un po’ brutto ripensando alla “droga” Elisa. Riaprii gli occhi e ripresi il telefono, stavolta intenzionato a parlare.
“Sono Giovanni”.
“Giovanni chi?”, mi chiese.
“Dai, Giovanni… Giò”.
“Giorgio!” Esclamò. “Giorgioooooo sono a Romaaaaaa”, urlò tra il sottofondo di traffico e il chiacchiericcio di gente intorno a lei. Mi chiese di vederci il prima possibile, così ci accordammo sul dove e sul quando incontrarci; sarebbe stato un’oretta dopo, in centro.
Corsi in doccia, azionai Alexa chiedendo di mettere “Horizon” e alzai il volume al massimo. Diedi da mangiare a Fred e mi sbrigai a vestirmi.
Per andare in centro presi la metro, la fermata era a poca distanza dal mio appartamento, così non avrei perso tempo per il traffico e a cercare parcheggio.
Arrivai al punto di incontro che avevo le palpitazioni. Cosa voleva dopo tutto questo tempo? Aveva figli? Era ancora così bella?
Mi sentii toccare la spalla e mi voltai di scatto. “Cazzo sei bella!” esclamai senza contegno, ma subito dopo arrossii e un po’ arrossì anche lei, sorridendo con quella smorfietta con il naso che mi faceva impazzire e le sue fossette sulle guance, che avrei voluto guardare per sempre; l’avrei mangiata.
Raissa mi scatenava un istinto predatorio degno del peggior lupo. Sentivo l’adrenalina andare a mille, come quando stavo alla consolle e la gente ballava solo perché io avevo il potere di farli ballare.
Sarà che mi ricordava quel periodo felicissimo e pieno di divertimenti.
“Che succede? – le chiesi – Come mai sei a Roma? E perché tutta questa fretta di vedermi?” Abbozzai un sorriso malizioso, sperando fosse perché, finalmente, aveva scelto me.
Non fu così.
Mi raccontò tutto, tutto quello che era successo da quel nostro incontro anni fa, tutto ciò di cui ero rimasto all’oscuro.
Lasciatomi in quella piazza desolata tornò a casa, in lacrime. Neanche lei sapeva il perché, ma il dubbio sul fatto che potesse essere incinta, quel bacio intenso, il suo fidanzato… Tutto la rese suscettibile, così si sfogò, senza farsi vedere da me, in un pianto isterico.
Ma il compagno era in casa.
Dopo diversi tentativi e litri di lacrime dopo, sbottò raccontandogli del bacio e della probabile gravidanza. Ma accertata la negatività del test, lui la lasciò, in modo irremovibile e lei soffrì molto. E mi pensò molto. Lo amava ma mi pensava. E io, mentre me lo raccontava, un po’ ne godevo.
Il problema è che, quando provò a cercarmi, seppe che stavo con la sua ex migliore amica Elisa, così la contattò insultandola, perché era sparita senza che nessuno, tranne i familiari stretti, ne fossero a conoscenza; perché, sapendo che ci eravamo baciati pochi minuti prima, avrebbe potuto dirle quello che era successo e che si stava trasferendo da me. D’altronde non erano più in rapporti stretti come allora ma erano pur sempre conoscenti e frequentanti gli stessi luoghi, gli stessi amici, le stesse zone. Non si aspettava certamente un gesto d’amicizia, ma forse un segno di rispetto sì; in effetti con Elisa non c’era mai stato nulla, in tanti anni. Anzi, io non avevo minimamente capito di poterle piacere, all’inizio. Invece con Raissa era già successo e ci eravamo cercati per due estati piene.
Passato un po’ di tempo, comunque, non le andava giù il fatto che aveva rinunciato a me per poi ritrovarsi da sola e io, oltretutto, impegnato in una relazione seria con Elisa, l’acerrima nemica Elisa, ormai.
Così la contattò direttamente.
Elisa diede di matto, forse impaurita da un uso ritorno, forse temeva che avrei scelto Raissa, fatto sta che mano mano fece in modo di farla litigare con tutto il resto degli amici che avevano in comune, sparlando alle sue spalle.
Raissa abbozzò, finché un giorno suo cugino la prese di petto, perché gli arrivò voce che lei non sopportava la ragazza con la quale si stava frequentando e alla quale lui teneva molto.
Così non ci pensò due volte e si rifece sotto con Elisa, minacciandola di sputtanarla con tutti, parenti inclusi.
Elisa fece passare del tempo e poi andò a Prato, e fu da lì in poi che la vidi cambiata.
In un tentativo di Elisa di mettere le mani addosso a Raissa, inciampò e si fece male, sbattendo il busto contro un paletto. A seguito di controlli, al pronto soccorso, capirono che la botta l’aveva fatta abortire.
Questo sapeva Raissa.
Sì, era incinta di due mesi e io sarei stato il padre.
Finito il racconto, con entrambe le facce indurite e gonfie, da pianto trattenuto, decidemmo di andare al mare, a prendere un po’ d’aria e, se ci fossimo calmati, avremmo cenato in qualche posto, da quelle parti.
Fermi, seduti sugli scogli con il viso rivolto al mare, guardammo fissi il sole scendere oltre l’orizzonte, aspettando che il buio avanzasse, che tanto più buio di quello che avevamo nell’animo, non sarebbe potuto essere.
di Fabio Valerio