La dialettica dello sguardo, così come è da me intesa, stabilisce la relazione del soggetto con sé stesso.Sartre, attraverso lo sguardo, stabilisce un’ambivalenza tra il soggetto e l’oggetto, ambivalenza in cui la vista diviene il senso fondamentale per arrivare all’incontro con l’altro. In questo senso, vedere l’altro nel suo essere diverso da noi, nella sua alterità, ci fa prendere consapevolezza e coscienza della sua identità; da questa consapevolezza, dalla consapevolezza dell’altro, prendiamo consapevolezza della nostra identità: lo sguardo all’altro, che ci fa rendere conto che l’altro è diverso da noi, diviene uno sguardo a noi stessi. Sartre ci racconta che, nel momento in cui due sguardi si incontrano, si incontrano anche i due “io”, e questo ci dà la consapevolezza che anche l’altro è un soggetto esattamente come noi.
Così comprendiamo l’altro come un altro “essere”. Questa consapevolezza nasce dal fatto che lo sguardo dell’altro su di noi provoca in noi delle reazioni, delle sensazioni in quanto ci sentiamo guardati da lui e questo sentire si manifesta a livello corporeo, perciò la consapevolezza dell’altro non è più solo contemplativa, ma è proprio un sentire che l’altro esiste e la manifestazione di questo sentire Sartre la definisce con il termine di”vergogna”.
Perché questo termine? Come ho spiegato nel video che ho fatto, non ha un’accezione negativa, ma è il rendersi conto di avere un corpo, ovvero nel momento in cui l’altro volge il suo sguardo su di noi, ci rendiamo conto di essere visti e quindi ci rendiamo conto di non essere soltanto”essere” ma di essere anche corpo, di avere anche una manifestazione esteriore di questo essere. La nostra esteriorità, il nostro corpo, si rende conto del suo”esserci” proprio nel momento in cui sente l’effetto della presenza dell’altro, e come sente questo effetto? Attraverso lo sguardo.
Da questo momento di consapevolezza in poi, dal momento in cui la nostra esteriorità si rende conto di esistere, è tutto un fluire dall’interno verso l’esterno, un fluire incontrollabile, un esteriorità incontrollabile, ed è proprio da questo che deriva il sentimento della vergogna, dal fatto che non riusciamo a controllare ciò che defluisce fuori da noi dal momento in cui siamo guardati dall’altro, e dal fatto che, riconoscendo a questo punto l’altro come un soggetto, non sappiamo come questo soggetto percepisce la nostra esteriorità, non sappiamo come ci percepisce.
A questo punto, siamo divisi tra ciò che siamo e ciò che di noi appare all’altro e questo vale per ognuno dei due soggetti. L’incontro con l’altro per riconoscersi crea una relazione che supera questa divisione tra ciò che siamo e ciò che aiutare.
E quindi ritengo che comprendiamo questo soggetto come essere uguale a noi, con le stesse emozioni e gli stessi sentimenti e con lo stesso tentativo di comprensione del soggetto che si trova di fronte, cioè noi. Credo che la dialettica dello sguardo porti alla comprensione dell’altro come essere simile a noi, perciò diviene il tentativo dell’essere di comprendere l’essere, e in questo io vedo il fondamento e la speranza della tolleranza verso”l’altro”.
Lo sguardo interiore è uno sguardo che può non provare nulla, può non provare la vergogna, perché è uno sguardo senza giudizio ed è uno sguardo che annulla il defluire del nostro essere verso l’esterno, verso un altro soggetto che lo osserva.
È uno sguardo che deve osservare ed ascoltare perché è uno sguardo rivolto al nostro essere, alla nostra anima e l’anima non ha bisogno di alcun giudizio perché non le serve, non sente vergogna e di conseguenza non la sentiamo noi. Perché guardare all’interno di noi stessi significa accogliere ciò che siamo, accogliere ed accettare le emozioni che proviamo, guardarsi dentro significa accettazione, significa accoglienza, smettiamo di essere tutto ciò che crediamo di essere, smettiamo di essere tutto ciò che gli altri credono che noi siamo, e siamo semplicemente ciò che siamo, senza giudizio, senza etichetta e senza definizione. Siamo l’anima che osserviamo. Non abbiamo identità, nel senso che non ci limitiamo in una definizione statica di noi stessi che limita le nostre possibilità, ma soprattutto limita la comprensione di noi stessi e quindi dell’altro.
Attraverso questa duplice dialettica, composta dal binomio sguardo verso l’altro e sguardo verso me stesso, voglio solo dimostrare che se guardando l’altro lo percepiamo e riconosciamo come un soggetto simile a noi e poi guardando noi stessi ci asteniamo dal giudizio, per aprirci alla comprensione totale della nostra anima del nostro essere, allora possiamo astenerci dal giudizio ed arrivare alla comprensione e all’accettazione anche dell’essere che abbiamo di fronte a noi, ovvero l’altro.
Ovviamente arrivare alla comprensione totale dell’essere è impossibile, ma già capire questi concetti, cercare di applicarli e porre in atto il “tentativo di comprensione totale”, tutto questo è già molto più di quanto non abbiamo fatto finora. E ciò che porta ad una crescita intellettiva, ad una crescita dell’anima del singolo, comporta un crescita dell’anima collettiva e del livello collettivo di sensibilità. Anna Lorenzini.