L’opossum vitruviano
Non tutti possono capirlo, ma ci sono circostanze in cui la vita ti travolge, così tante volte e con così tanta forza, da mandarti in shock, rendendoti catatonico, come un opossum bloccato nel bel mezzo della Salerno-Reggio Calabria. Obbligandoti a uno stato di stasi, quasi infinito, dove il mondo continua a vivere e va avanti, mentre tu sei lì, a cercare un capo espiatorio: il momento esatto in cui tutto è andato a puttane. Servirà a ben poco, quando capirai che non è in grado di darti soddisfazione, che non si trasformerà magicamente in un salvagente per tirati in salvo, anzi ti metterà di fronte a una verità, nuda e cruda: l’unico che può salvarti veramente, sei tu!
È complicato da metabolizzare, figuriamoci da accettare, ma spiegarlo ad altri sembra impossibile, anche perché, in certi casi, sai che non vogliono nemmeno ascoltarti e questo avvalora la tua tesi.
Nel frattempo, molti attorno ti vedono come un iceberg, e qualcuno ha pure il barbaro coraggio di fartelo notare: sei solo una montagna di problemi! Eppure, loro vedono solo la punta, tu sei il solo che riconosce il ghiaccio massiccio e lucido, tutto quello che è rimasto sott’acqua, perché ti sforzi di non far emergere la malinconia, la paura e l’angoscia di quello che stai vivendo. Purtroppo, il tuo sacrifico non basta, anzi, ti dirò di più, man mano che andrai avanti, ti faranno notare che è passato del tempo, che la punta dell’iceberg si è smussata e puoi stare tranquillo, che devi tornare a vivere: per forza, subito e con il sorriso, altrimenti sei un frignone, che non sa affrontare la vita, o che addirittura, non la merita.
Quanto è facile puntare il dito, soprattutto quando non si è vissuto nulla di simile sulla propria pelle.
Quanto è facile urlare la parola “resilienza”, nascosti dietro a uno schermo retroilluminato, senza conoscere minimamente il trascorso di chi si accusa, senza pensare al lavoro che c’è dietro la ricerca di questa bella parola, oramai sulla bocca di troppi. Immaginate quanto sia frustrante, per chi la resilienza se l’è duramente sudata, scavando fino alle viscere più profonde del proprio animo, dover sentire il pulpito da cui proviene la predica.
Non dovrebbe meravigliarci, in fondo, è più semplice fare orecchie da mercante e giudicare, anziché ascoltare e aiutare; dall’alto delle fortezze, è difficile sentire la forza del mare e lo sforzo che si fa per non affogare.
È proprio così che ci si sente, in balia delle onde, senza nulla a cui aggrapparsi, senza nessuno al proprio fianco, soli a lottare contro la vita stessa, scalpitando per rimanere a galla. Ma non puoi affrontarla realmente così, la lotta è lunga, prima o poi ti stancherai, e allora non potrai fare altro che fingerti morto. In quella posizione vitruviana, a pelo d’acqua, fissando il celo e ascoltando il mare sotto di te.
Questo, così come ci sostiene, ci può affondare in un battito di ciglia.
Allora toccherà a te, dovrai lasciarti andare, affidandoti al mare come fosse un alleato, non un nemico, imparerai da lui a distinguere i segnali, ad anticipare le sue mosse per prendere, con leggerezza, la prossima onda che arriverà. Così potrai permettere alla vita di fare il suo percorso, di smussare il ghiaccio rimasto sotto la superficie, di alleggerirti il petto con il moto ondulatorio, di cullarti mentre guardi l’immensità del celo.
AUTORE: Niky Esposito