Gli portarono un giornale con un annuncio di lavoro: “Segretario tuttofare per famiglia
facoltosa”, la sede poco lontano dalla Casa Occupata, nella periferia di lusso della Città.
Il Ragazzo aveva resistito qualche settimana con i ridicoli risparmi degli ultimi lavoretti
ma era arrivato il momento di rimettersi in cerca; non gli andava, stava arrivando la
primavera e l’aria era così languida che avrebbe preferito perdersi in essa dietro qualche
storia assurda delle sue, fumare, accoppiarsi, pensare, scappare.
Chiamò con poco entusiasmo il numero e prese l’appuntamento con una voce di uomo
garbato e deciso per l’inizio della settimana seguente: il compenso prospettato era
difficilmente rifiutabile e le condizioni di lavoro sembravano comode, orari flessibili, con
possibilità, non obbligo, di pernotto nella casa padronale.
Arrivò a piedi senza prepararsi con troppa cura, jeans, il chiodo nero indossato sulla pelle
dal momento che entrambe le magliette di cotone che usava nel periodo erano
inutilizzabili, una buttata sotto la rete del letto, in un angolo ancora ignoto e l’altra, umida,
poco strizzata, ad asciugarsi dentro la doccia, per dare l’esatta impressione di non avere
troppa fame di lavoro: non era sano per lui dipendere dal gradimento altrui, soprattutto
quello dei ricchi che pensano di comprare un essere perché soffre le necessità pratiche.
Il Ragazzo, poi, poteva vendere solo incostanza, non certo la sua fatica che teneva stretta
per mettersi alla prova di resistenza nella vita che non era così sicuro di riuscire a
completare…
Era in leggero ritardo quando suonò il pulsante del videocitofono in ottone che si accese
sul suo viso prima che il cancello venisse aperto dall’interno. Doveva essergli piaciuto.
Il vialetto che attraversava il giardino della casa padronale era lussureggiante, evocava
atmosfere opulente di vizi altoborghesi.
La casa era molto elegante, monofamiliare, grande, almeno due piani, dall’aspetto discreto
e misurato.
Il Ragazzo cercava di capire chi l’abitasse e se potesse fare al caso suo ma prima che la sua
mente arrivasse a formulare delle ipotesi lo accolse il Padrone di casa in persona.
Niente servitù, un punto a favore.
Era un uomo sui quarantacinque anni, sportivo, solido, con un sorriso di circostanza che
comunicava senso pratico e ricercatezza nel contempo, vestito con uno spezzato dai toni
caldi, camicia scura senza cravatta e quelle ridicole iniziali che ormai tutti si fanno
ricamare sulla stoffa per ricordare a se stessi chi sono. Gli strinse la mano in modo veloce e
deciso presentandosi solo col nome di battesimo e fece cenno di entrare in un salotto
vicino decorato con tappezzeria dai colori vivaci.
Alle pareti c’erano quadri pazzeschi dalle cornici ampie e lavorate.
Il Ragazzo li ammirò di traverso, non riusciva mai a mostrarsi troppo sorpreso perché a lui
interessavano le persone, neanche tutte, anziché le cose.
Il Padrone di casa invece sembrava molto fiero di quei pezzi rari esposti nella sua
residenza: “Le piacciono? Io sono un umile mercante d’arte antica e non riesco a staccarmi
dal lavoro nemmeno quando riposo fra queste quattro mura!”
Il Ragazzo ebbe un’espressione canzonatoria tuttavia si mantenne garbato e sornione per
coccolare la vanità di quell’uomo, che non era completamente fuori luogo: “Sono molto
belli, non ho mai visto qualcosa di simile!”
Era in gamba il Padrone di casa, si vedeva a occhio nudo eppure c’era qualcosa ancora da
mettere a fuoco, una falla in quel trono imponente di successo personale e sicurezza che
promanava dalla sua persona, dalla maestosità del lusso di cui si circondava…la sua
famiglia, ecco, dov’erano tutti?
Cercavano un segretario tuttofare ma davanti al Ragazzo si era presentato solo il capo.
Quasi indovinando le sue perplessità questi lo precedette: “Noi siamo in quattro, ho due
figli ormai grandicelli che vedrà poco, sono sempre a scuola o in giro, un maschio e una
femmina e mia moglie. Dovrà occuparsi di lei quando io sono fuori per lavoro”.
L’argomento finalmente diventava interessante, la moglie avrebbe dovuto avere pressoché
la sua età e, considerato il notevole gusto estetico espresso in ogni dettaglio del suo aspetto
e dei suoi atteggiamenti raffinati, avrebbe dovuto essere una gran bella donna.
Poi pensò che, forse, un uomo così non avrebbe lasciato volentieri un ragazzo senza
referenze girare per casa mentre lui era assente… allora perché il colloquio continuava e
sembrava soddisfarlo?
“Sono spesso fuori per lavoro, talvolta all’estero e mia moglie segue il sito e il commercio
online da casa, per cui soffre la mia mancanza nel tempo libero, rischia di restare
prigioniera qui! Viene da fuori e ancora non si è ben ambientata in città, nonostante ci
viviamo ormai da una decina d’anni.”
“E’ una città provinciale, ha i suoi circoli ristretti di persone che si conoscono da una vita o
prima, dalle famiglie..”
Il Padrone di casa ebbe un lampo e gli piantò addosso la sua attenzione che da quel
momento non l’avrebbe più abbandonato: evidentemente aveva detto qualcosa che gli era
suonata intelligente.
“Esatto, quindi lei mi capisce! Poi sa, le invidie nascoste, la volgarità dei pregiudizi delle
persone per chi non conosce… mi sono accorto che mia moglie ne risente negativamente
sotto ogni punto di vista anche se, per non darmi il peso di un senso di colpa, non me lo ha
mai detto. La vedo svogliata a volte, rinuncia ad uscire, alle feste, addirittura allo
shopping. I figli crescono ed escono per conto loro, gli amici, il motorino, i loro amori, non
ha amiche fidate qui vicino. Credo che ci voglia qualcuno che soddisfi ogni suo desiderio,
la vizi al posto mio, la stimoli a fare cose nuove, a divertirsi.”
Le pupille nerissime leggermente dilatate mentre rimanevano puntate sul Ragazzo
fissarono gli ultimi concetti in maniera incisiva. Il Padrone di casa non stava sorridendo in
maniera complice né ambigua: stava già impartendo gli ordini di servizio, redigendo le
linee guida, programmando i mesi futuri per LUI!
Era un uomo pieno di dignità, tutto quello che lo riguardava non si stropicciava sotto
forma di fraintendimenti o insinuazioni ma rimaneva piano e scorrevole come il manuale
delle migliori istruzioni.
Se fosse stato un essere viscido il Ragazzo si sarebbe defilato senza troppi convenevoli,
non era interessato a lavorare per spalare la melma nascosta delle famiglie benestanti,
invece quest’uomo lo stava rassicurando grazie a quella misura piena di decoro borghese
con cui parlava della sua vita familiare.
“Ci siamo conosciuti durante gli studi, all’università: io frequentavo la cattedra del
professore con cui lei si è laureata. E’ una mente brillante, appassionata d’arte, viene da
un’ottima famiglia per cui abbiamo prima messo insieme una società che si occupava di
commercio d’arte, sa…come vanno le cose, ci siamo fidanzati e dopo qualche tempo
sposati. Lei è la mia parte migliore, ha un eccezionale intuito per gli affari e una rete di
conoscenze internazionali che la stimano e, di riflesso, hanno fiducia in me e investono
volentieri nei pezzi che propongo loro”.
Al Ragazzo sembrò adesso di essere passato dall’altra parte del colloquio: gli stavano
arrivando le referenze dei suoi datori di lavoro!
“Sa purtroppo con la famiglia abbiamo smesso di viaggiare insieme…veramente per lavoro
non l’abbiamo mai fatto molto…”
Lo sguardo del Ragazzo vacillò per un istante da quello del suo interlocutore e vagò su
una tela che l’aveva colpito fin dal suo ingresso nella stanza: un quadro barocco
raffigurante San Sebastiano.
La figura antica e la pelle d’avorio trafitta da frecce lo aveva chiamato con l’insistenza di
una malìa. Era una raffigurazione notevole per la prepotente carica erotica del tratto: il
santo era completamente nudo, con la testa ardente di dolore reclinata all’indietro e gli
occhi socchiusi in un’espressione pseudo-orgasmica, i muscoli ben tirati, i genitali
rigogliosi e il sangue sottolineava con malizia i particolari anatomici con cui il seicentesco
pittore aveva voluto omaggiare il martirio più seducente dell’agiografia cristiana.
Un rivolo rosso cupo assieme a qualcosa che avrebbe dovuto essere sudore o comunque
acqua, trasparente, scendeva sulla coscia del santo e si raccoglieva in una piccola pozza ai
suoi piedi. Nella scena, che sembrava ricordare i numerosi amplessi complicati del
Ragazzo, irrompeva una mano intessuta di vene sottili come rovi di un corpo fuori campo
che evocava, con un gesto molle ma al tempo spesso imperioso, di nuovo al furore della
vita il giovane bersagliato ovunque tranne che al cuore.
Al Ragazzo sembrò l’immagine di un sofisticato tormento sadico piuttosto che l’esecuzione
della pena capitale, il martire era troppo bello per essere gettato nel sepolcro senza prima
essersi divertiti un po’ con le sue forme armoniche. Sì, doveva essere andata così all’epoca,
pensò.
Il Padrone di casa lo fulminò con le sue pupille aperte come una vulva famelica e la mano
dal quadro dava l’impressione di invitarli in quel momento, in quella stanza, a
condividere un segreto rituale, un’iniziazione.
Con solennità il Ragazzo sentì calare dall’alto le ultime parole, crude, assieme
all’intenzione, rappresentata sopra le loro teste, di donare il corpo nudo del santo alla furia
e il piacere degli aguzzini:
“Sai, io ho il mio assistente, sto con lui più che posso. Tu dovrai fare compagnia a lei, nel
week end potrai dormirci insieme, io resto fuori casa. Vedrai che le piacerai molto, sei
teneramente giovane. Inizi domani, io parto alle quindici, ecco le chiavi.”
Il mazzo passò dalle sue mani al palmo aperto del Ragazzo tintinnando come la catenella
che tiene uniti due amanti.
Il giorno seguente il Ragazzo era lì, non aveva ancora trovato una maglietta da indossare
sotto la giacca per cui sarebbe rimasto a torso nudo se non avesse avuto il suo chiodo.
Il cancello si aprì automaticamente quasi a volerlo risucchiare e il portone era rimasto
semiaperto. Nell’atrio trovò un signora alta e snella fasciata in un bustino scuro, lucido,
doppiato di voile, con un cappello inusuale, a tesa larga, da gran cerimonia, la messa in
scena del ritorno da un battesimo fetish, che le ombreggiava le spalle nude e più della
metà del viso, fino alle labbra rosse, disegnate con un accenno di avidità.
L’incarnato era luminoso e sembrava invitarlo ad avvicinarsi da ogni singolo poro,
emanando quell’essenza leggera di signorilità che non tutti i conti bancari possono
permettersi. Di nuovo una mano si allungò, questa volta verso di lui, curatissima, le
unghie laccate di rosso, leggermente ricurve, splendenti: afferrò la sua per trascinarlo con
sensuale prepotenza verso il primo salotto.
Si ritrovò addosso alla padrona di casa, finalmente accaldata e scomposta, di schiena, con
le sue dita che lo guidavano verso i lacci del reggicalze, sotto la gonna, mentre con la bocca
umida sgocciolava oscenità su un tappeto persiano beige e blu: “Chiamami MAMMA”.
Un paio di minuti dopo era già tornato in strada, senza il becco di un quattrino.
Miseria puttana.
di Veronikque Luce
Bello…scritto bene,oculatamente …con attenzione somma all’eloquio che definirei elegante e nitido…la storia tiene fermo l’interesse senza sbavature in un crescendo rossiniano…l’attenta osservazione/descrizione dei personaggi guida sapientemente il lettore verso il sorprendente finale a sorpresa/conferma!!!Lo stile è dei grandi!!!
Bellissimo racconto, si legge tutto di un fiato, facendoci immergere in un’atmosfera che sa di Alberto Moravia e Luchino Visconti ma con un finale in cui esplode la potente umanità degli “umiliati e offesi”.