Sulla pace, fulcro del Laboratorio intellettuale inaugurato questo mese dal SIMPOSIO2021, voglio trattare un argomento che in prima battuta sembra non avere nulla in comune col tema della guerra, dell’intolleranza e della prevaricazione, ma che è ugualmente caratterizzato, troppo spesso, da queste piaghe. Accerchiato da una serie di luoghi comuni, generalizzati indistintamente a tutti gli uomini, questo tema è un tabù che porta chiunque lo voglia affrontare con obiettività ad essere dal lato cattivo delle parti: quello degli uomini. La premessa fondamentale che vi faccio è che dedicare spazio e riflessione ai padri divorziati non significa assolutamente negare i problemi che molte donne affrontano in queste stesse circostanze, una cosa non elude l’altra e purtroppo sono entrambe realtà che viviamo, che devono essere analizzate e cambiate. Ma oggi è la giornata del papà e mi dedico a loro.
Non mi è mai piaciuto schierarmi a priori perché non amo essere vittima della banalità del non-pensare che caratterizza il non saper valutare le situazioni singolarmente. Pensare e pensare criticamente è l’unico imperativo che seguo, con la consapevolezza di poter anche sbagliare, perché umana. Dunque, lasciando ad altra sede la trattazione di femminicidi, violenze in famiglia di ogni genere e padre padrone, voglio parlare del padre divorziato in “situazione standard”, diciamo così. racchiudendo in questa parola, per fluidità di concetto, anche i papà separati.
Padre eroe o incurante, presente o distante, amato o odiato… E anche divorziato! Essere un padre divorziato è una sfida emotiva e pratica che richiede la ricerca di un equilibrio delicato tra molteplici ruoli e responsabilità. Il divorzio spinge a ridefinire il proprio ruolo genitoriale e il del genitore che “esce di casa” spesso diviene il “genitore di serie b”. Immersi in una situazione dolorosa e conflittuale, che mette completamente in discussione, nel senso più negativo del termine, la loro figura, si ritrovano a lottare con la sensazione di non essere più coinvolti nella vita quotidiana dei loro figli o con il timore di perdere il rapporto con loro. E di fatto, nella maggior parte dei casi è così. È un momento di adattamento e di ricerca di nuovi modi per essere presenti e significativi nella vita dei propri figli e ci si trova a navigare tra una varietà di emozioni, tra cui la perdita, la rabbia, la tristezza e talvolta il senso di fallimento dovuti all’idea di dover costruire una nuova vita senza la presenza costante dei figli. È importante riconoscere e accettare questi sentimenti come parte del processo di adattamento a una nuova realtà, da cui non si scappa, ed è necessario comprenderlo a fondo. Pretendere di vivere la routine quotidiana coi bambini/ragazzi quando si è fuori casa, magari anche lontano, tra lavoro e gestione della propria vita privata è praticamente impossibile, e pretendere che lo facciano, accusandoli poi di menefreghismo, è mancanza di buon senso. Diciamoci la verità, troppo spesso le ex mogli pretendono che gli ex mariti siano ex su carta ma non nella pratica quotidiana, dove viene richiesta addirittura maggior presenza e impegno rispetto a quando il padre era in casa. Ma bilanciare le richieste della vita professionale con quelle dei figli è difficilissimo e fare i conti con il desiderio di essere presenti per loro e il senso di colpa per non riuscire ad esserlo è devastante. É necessario ripensare il ruolo genitoriale e questo comporta il rinegoziare la propria identità e il proprio coinvolgimento nei confronti dei figli ed è fondamentale mantenere un legame forte e sano con loro, anche se la dinamica familiare è cambiata; ma bisogna fare i conti con le difficoltà oggettive, soprattutto se la custodia condivisa non è possibile o se si vive lontano dai propri figli.
Il viaggio emotivo, dunque, è pratico e complesso, trovare un equilibrio tra lavoro e famiglia diventa una sfida cruciale e, nella stragrande maggioranza dei casi, l’impegno economico è così oneroso da non permettergli una vita propria, una casa, una nuova famiglia. Questi padri separati sono spesso etichettati come “i nuovi poveri”, trovandosi costretti a ricorrere a mense gratuite e dormitori a causa delle numerose difficoltà economiche. Queste difficoltà sono spesso legate all’obbligo dell’assegno di mantenimento verso l’ex coniuge e i figli, che pesa sui loro bilanci in modo significativo. Laddove, invece, l’ex moglie lavori, nonostante la legge preveda una suddivisione equa degli oneri finanziari in base al reddito, l’assegno di mantenimento, che deve essere puntuale e senza alcuna scusa, rimane un peso costante per i padri separati, soprannominati padri- bancomat. Già, è proprio così, basta fare una ricerca e appaiono dati statistici a riprova di quanto detto e soprannomi disperati per questi uomini. Voglio riflettere con voi e porre delle domande. É davvero possibile che la legge consenta a queste persone di vivere in povertà, in virtù del supremo interesse del minore? É davvero reale pensare che un figlio viva bene, seppure nell’agio, sapendo che il padre vive nel dis-agio? Siamo sicuri che questo sia il meglio per i nostri figli? É davvero possibile che lo stato permetta ai ragazzi di avere il surplus e al padre di non arrivare al 27 del mese mentre i figli hanno due playstation? Il benessere del figlio (ci si nasconde dietro questa scusa) non può comportare il malessere del padre. Non deve essere così! Di certo è importante ma non deve essere a scapito del genitore.
Infatti, secondo il Rapporto della Caritas del 2021, in Italia, si stima che ben 800.000 uomini divorziati con figli si trovano sull’orlo della povertà, e le cose non sono migliorate. Questo dato, non più recente ormai, assume una rilevanza significativa poiché ha un impatto diretto sul benessere psicologico e sulla qualità della vita degli uomini separati o divorziati, anche nel caso in cui riescano a rifarsi una vita, una famiglia, un nuovo matrimonio. Anche senza arrivare alla condizione di estrema di povertà, le difficoltà economiche sono sempre presenti, tra mantenimento ed extra di qualsiasi tipo, sembra quasi che sia un dovere non arrivare a fine mese per poter comprare tre paia di scarpe ai figli. Mi chiedo: un paio di scarpe solo, ma papà che riesce a pagare le bollette? Si potrebbe fare? Direi di sì, ma che non siano i figli ad arrivare a tale ragionamento ci può stare; sta a noi adulti educarli anche in tal senso, a noi tutti. In primis ai genitori, che devono essere assolutamente in accordo in questo, poi alle mamme che gestiscono la quotidianità dei ragazzi e non può essere tutto un’esigenza di benessere. Poi ai papà, che possono dire di no senza sensi di colpa, tra l’altro è parte di una sana educazione ricevere i no, anche più di uno, direi. Infine, è compito nostro, della società, supportare i padri in tal senso, supportare una trasmissione di valori sani e non di consumismo all’ultimo cellulare!
In ultimo, ma non da meno, alle difficoltà oggettive economiche, si aggiungono le accuse della ex moglie di essere un padre inadempiente, accuse che, a forza di ascoltare bei discorsi tra parenti e amici, molte volte sono rivolte dai figli stessi, con conseguente difficoltà nell’avere un rapporto sano col padre. È importante, allora, riconoscere le sfide uniche che questi uomini incontrano e sostenerli, garantendo loro rispetto, comprensione e risorse per navigare attraverso questa fase della loro vita e rimanere dei genitori amorevoli e impegnati per i loro ragazzi. É qui che io vedo il bene supremo “del minore”. Il riconoscimento di tale disagio e il supporto di cui necessitano devono arrivare dalla società e dal sistema giuridico, visto che dalla controparte arrivano solo obblighi, per lo più economici, nascosti dietro i bisogni psicofisici dei figli. Non voglio e non posso credere che questo non si possa cambiare. Non è possibile vivere in un mondo dove gli uomini violenti, seppur denunciati, non subiscano alcun provvedimento e siano liberi di uccidere, mentre i padri per bene paghino per tutti. Questi uomini sono persone e ci si scorda di questo, sono persone che hanno il diritto di poter vivere e vivere bene, il diritto di rifarsi una vita e il diritto di essere padre, senza essere emarginato dalla vita dei figli.
La figura del padre è un pilastro fondamentale nella vita di ogni individuo e nella struttura familiare. Nel corso degli anni, il concetto di paternità ha subito delle trasformazioni significative, che meritano una trattazione a parte, riflettendo i cambiamenti sociali, culturali ed economici. Oggi, la figura del padre è sempre più associata a una presenza emotiva e coinvolta nella vita dei propri figli, piuttosto che a un mero sostentamento finanziario. Questo si traduce in un maggiore coinvolgimento nei compiti di cura, nell’educazione e nell’affettività, che non deve però essere un ricatto per chi è genitore divorziato. Né è oltremodo accettabile escluderli totalmente, come accade in molti divorzi. É necessaria un’apertura mentale di rilievo da parte di tutti sul rapporto padre divorziato-figli e sulla loro gestione, che non implica necessariamente una comprensione tra gli ex coniugi, no, che ognuno prosegua la propria vita, ma che abbia la possibilità di farlo e di farlo rimanendo genitore, senza affogare.
Sono state parole dure queste, lo so, ne sono cosciente, e non me ne vogliate, ma l’intento è solo quello di rendere una situazione troppo diffusa e porvi rimedio e molto spesso le parole crude arrivano dirette e possono aprire un varco. Non sto dicendo che tutte le situazioni sono così; come detto nella premessa, lungi da me ella generalizzazione, ma quella descritta è una condizione reale cui abbiamo scelto di dare voce, con un pizzico di cruda osservazione, è vero. Essere un padre divorziato è un percorso complesso e impegnativo, ma, come ogni altra situazione problematica della vita, anche ricco di opportunità di crescita personale e di rafforzamento dei legami familiari. Ma voglio sottolineare la necessità, come in tutte le cose, di valutare le singole situazioni e non generalizzare. Dove l’intelligenza tace, l’ignoranza generalizza, a mio avviso.
Anna Lorenzini – L.A.Filosofia