Di Marco Antonio D’Aiutolo
Sarebbe un vero pensiero positivo credere «che a questo mondo esista solo una grande chiesa, che passa da Che Guevara e arriva fino a madre Teresa» (Copyright: L. Cherubini in arte Jovanotti, Penso positivo). Chi non ricorda la canzone? Sì, sarebbe auspicabile per una società più tollerante. Se non comportasse alcune problematiche non irrilevanti. Quali?
La soluzione politica di una «chiesa larga», seppur non intesa come quella proposta dal cantautore italiano, fu già prospettata nella storia europea durante le guerre religiose del XVI e XVII secolo. La crescente convinzione che le diverse chiese cristiane dovessero coesistere anziché autodistruggersi, fu accompagnata dall’idea secondo la quale Dio non si preoccupava delle modalità di come le persone lo adorassero purché lo facessero in buona fede entro certi ampi limiti cristiani. Di recente uno spirito ecumenico analogo si è esteso oltre i confini della cristianità.
Ma per il filosofo anglosassone Bernard Williams (1929-2003), tale visione non sarebbe dissimile da quella scettica, secondo cui non vi è alcuna verità sulla validità del credo di una chiesa in opposizione a quello di un’altra. Entrambe le prospettive perverrebbero quindi alla medesima posizione: «le questioni precise della credenza cristiana non contano così tanto quanto le persone avevano pensato.» Allora non è più richiesta la tolleranza, «non più di quanto si faccia rispetto ai gusti delle altre persone in fatto di cibo.»
Williams ne parla in un saggio intitolato Tollerare l’intollerabile, dove osserva proprio questo: che cioè se chiediamo alle persone di essere tolleranti, non possiamo chiedere loro solo di «perdere qualcosa, il desiderio di sopprime o cacciare la credenza rivale», ma anche di conservare qualcos’altro, «l’impegno verso le proprie credenze», ma è proprio questo «ciò che ha dato loro quel desiderio all’inizio.» Per sciogliere una tale tensione, si dovrebbero relativizzare le posizioni dei gruppi in conflitto. Ma se ciò è auspicabile politicamente, comporterebbe (come visto nella storia delle guerre religiose) uno slittamento verso l’indifferenza, il che vuol dire che «se non ci si cura così tanto di ciò che ognuno crede, non c’è bisogno dell’atteggiamento della tolleranza.»
Come sciogliere la tensione? È possibile giungere a un accordo “etico” tra gruppi in conflitto, a una convergenza tra i dialoganti, senza che le convinzioni – cause appunto dei conflitti – di ciascuna delle parti perdano di significato, siano cioè relativizzate e rese nulla?
Rifletto su questi argomenti e sulla proposta risolutiva di Bernard Williams nell’articolo che troverete su La Bottega delle Filosofie, con il titolo: Dalla tolleranza al dialogo: per un orizzonte intersoggettivo condivisibile.
Vedi link: https://www.labottegadellefilosofie.it/post/per-un-orizzonte-intersoggettivo-condivisibile-dalla-tolleranza-al-dialogo