Parmenide di Elea, colonia greca della Campania, è il fondatore della scuola eleatica, visse fra il 550 e il 450 avanti Cristo ed espose il suo pensiero in un’opera in versi: intorno alla natura. Di questo poema restano 154 versi e testimonia sicuramente il legame profondo tra la poesia e la filosofia, legame in cui molti antichi credettero, e testimonia il fatto che probabilmente Parmenide apparteneva ad un ambiente di tipo aristocratico, che riteneva il sapere patrimonio di pochi iniziati.
I SENTIERI DELLA RICERCA.
Parmenide ritiene che l’uomo sostanzialmente abbia due vie da seguire: il sentiero della verità (alétheia), sentiero basato sulla ragione che ci porta a conoscere l’Essere vero, il sentiero dell’opinione (dóxa), basato, invece, sui sensi e che ci porta a conoscere l’Essere apparente; è ovvio che il filosofo deve scegliere la via della verità, che è la via della ragione. Parmenide si basa sul principio di identità, per il quale ogni cosa e se stessa, e sul principio di non-contraddizione, per il quale è impossibile che una stessa cosa sia e nel tempo stesso non sia ciò che è.
In base a questi principi, la ragione ci dice che l’Essere è e non può non essere, mentre il non essere non è e non può essere. Parmenide vuole solo dimostrare che l’Essere esiste e che il non essere, proprio per definizione, non esiste e quindi non può venire pensato, perché la nostra mente, il nostro linguaggio possono far riferimento solamente all’Essere in quanto il non-essere è inesprimibile.
IL MONDO DELL’ESSERE E DELLA RAGIONE.
Da questa tesi chiave del suo pensiero, egli stabilisce una serie di attributi di base che secondo lui caratterizzano l’Essere vero o autentico. Sostiene che l’Essere è ingenerato e imperituro, perché se nascesse o se morisse implicherebbe in qualche modo il non-essere, proprio perché nascendo verrebbe dal nulla e morendo si dissolverebbe nel nulla. Di conseguenza, l’essere è eterno, perché se fosse nel tempo implicherebbe il non-essere del passato e il non-essere del futuro, quindi implicherebbe ciò che non è più e ciò che non è ancora. Dunque l’essere è un eterno presente, e da questo concetto per la prima volta nella filosofia troviamo l’eternità, intesa proprio come ciò che è al di là del tempo.
Dunque l’Essere vero è immutabile ed immobile, perché se cambiasse implicherebbe di nuovo il non-essere, così come l’Essere è unico, perché se fosse molteplice implicherebbe di nuovo il non-essere. È omogeneo proprio perché se fosse molteplice implicherebbe il non-essere o tratti di non essere. L’ Essere è finito e questo rispecchia anche la mentalità greca, che troviamo in Parmenide, secondo cui la compiutezza è sinonimo di perfezione e quindi l’essere è perfetto perché finito, spiegando questa compiutezza con l’immagine della sfera, che rappresenta la perfezione in quanto è una sorta di pieno assoluto, nel quale il non-essere è assente.
Da questo vediamo come Parmenide, utilizzando la logica e il ragionamento ha impostato gli attributi filosofici di un essere perfetto. In questo rimane ovviamente problematico identificare l’Essere parmenideo, ovvero che cos’è precisamente questo essere? Purtroppo, abbiamo pochi frammenti che ci sono rimasti e quindi non abbiamo abbastanza fonti per rispondere con esattezza a questa domanda, abbiamo però le varie interpretazioni su di esso, ma che sono discordanti tra di loro: per alcuni l’Essere di Parmenide è una realtà metafisica o teologica, per altri è una realtà fisica e corporea, proprio perché coincide con la sfera di cui egli stesso parla, per altri ancora è una costruzione logica e grammaticale, e così via dicendo.
Rimane però certo che questo Essere e le definizioni che Parmenide ne dà saranno, poi, presupposto e riferimento successivo per l’Assoluto; che sia un Dio trascendente oppure la Natura stessa, i filosofi successivi utilizzeranno gli attributi di ingenerato, unico, necessario, che non muore e quindi imperituro, eterno, immutabile, tutti gli attributi e tutte le determinazioni che Parmenide andato all’Essere.
LA REALTA’ DEI SENSI.
Oltre al mondo dell’essere e della ragione, esiste la realtà che i sensi ci testimoniano, il mondo in cui noi viviamo e che ha definizione attributi opposti a quelli che abbiamo dato finora, cioè a quelli dell’ Essere vero, proprio perché la realtà del mondo è molteplice, nasce e muore, è temporale ed è anche mutevole.
Parmenide sostiene che il mondo in cui viviamo, proprio perché implica il non-essere, dal punto di vista filosofico, risulta pura apparenza e illusione ed è caratterizzato dal linguaggio, che hanno creato gli uomini, che sono mortali, quindi da un linguaggio non vero. Formula una dottrina che sia verosimile del mondo dell’esperienza e dell’apparenza, una dottrina dualistica, potremmo dire pitagorica, perché in essa è descritto il contrasto tra luce e tenebre, sullo sfondo del contrasto pitagorico limite- illimitato.
Secondo Parmenide, la realtà fisica è un prodotto del mescolarsi di questi due elementi, dovuto alla lotta continua di essi, e in questo vediamo il paragone col mescolarsi pitagorico cui facevamo poco fa riferimento. L’unico discorso filosoficamente degno, per Parmenide, è quello che riguarda l’essere. Seppure si può dare una vaga teoria delle cose sensibili, della realtà fisica, non dobbiamo dimenticare che questa teoria sarebbe solamente una dottrina dell’apparenza e che invece l’Essere vero è solamente dove lo può cogliere la ragione.
Si capisce come Parmenide abbia influenzato la filosofia a lui successiva, ogni volta che tutti i filosofi parleranno di una realtà assoluta ed eterna, che sia essa Dio, la Natura, l’Universo…
La grandezza filosofica di Parmenide si manifesta nei filosofi futuri.
Anna Lorenzini.