C’era un’epoca in cui, senza troppi dubbi o pippe mentali, una donna, quando trovava un compagno, si sposava. Si accasava, per meglio dire, perché da quel momento in poi passava dall’abitare dai propri genitori, all’abitare in casa con l’uomo scelto e restava a lavorare in casa, occupandosi del marito, della prole, dell’abitazione, della piccola economia casalinga, della gestione logistica dei beni di prima necessità ed anche dei beni meno necessari, se c’era la possibilità di spendere qualche soldino in più.
Parliamo di un’epoca remota. Perché, già dai nati dopo il 1920, il restare a casa è cominciato a divenire, man mano, meno possibile. Un po’ perché gli affitti delle case crescevano, seguendo il mercato immobiliare e la crescente domanda di abitazioni in città. Un po’ perché il tenore di vita, soprattutto nel dopoguerra, con il boom economico, si è livellato sempre più verso l’alto.
Con il consumismo, il capitalismo, gli accessori, il benessere e lo sviluppo di tecnologie adatte all’uso casalingo, abbordabili, quali televisori, lavatrici, frigoriferi, radio – prima – e poi computer, stampanti, lavastoviglie, console per videogiochi dopo, si è sentito maggiormente il bisogno di far lavorare le donne, per mantenere il ritmo e poter continuare a godere dell’utilizzo di questi accessori utili, a volte; altre volte meno utili ma che fungono da intrattenimento, per alleggerire la giornata dopo diverse ore di lavoro stressante.
Spesso, però, il lavoro delle madri di famiglia non viene retribuito al pari del lavoro degli uomini. In più, per far sì che la donna abbia il tempo utile da poter dedicare al suo impegno lavorativo, nell’ambito familiare si sente il bisogno di possedere un’automobile in più. Spesso, inoltre sempre per lo stesso motivo, si ricorre all’utilizzo di personale per le pulizie in casa, o di tate per i figli, di ore di ripetizione per far fare loro i compiti, o addirittura di un qualcuno che possa andare anche solo a prendere e portare i bambini a scuola, al parco, allo sport, o anche solo a trovare un amichetto o i nonni.
Quando si è fortunati questi compiti vengono assolti, appunto, dai nonni, ma non sempre è possibile. Va da sé che, il poter andare a lavoro, per la donna, comporta un maggior costo per l’intero nucleo familiare, anche in termini di equilibrio e stress.
Non è stato, poi considerato, il fatto che la donna libera da impegni lavorativi, ha la possibilità di scegliere, in modo ponderato, gli acquisti da fare per il mantenimento di casa e per la spesa, scegliendo il miglior negozio o mercato per comprare un determinato prodotto, al miglior prezzo possibile e che abbia un’adeguata qualità, accettabile per il proprio ambito familiare.
Detto questo, senza valutare a priori e generalizzando, può la donna ancora scegliere di andare o meno a lavoro, considerando costi, sacrifici e ricavi che si innescano nel giro in questione? La donna sceglie di andare a lavorare o è costretta a farlo, a causa dell’incessante richiesta di uso da parte di un mercato che punta sempre più ad un maggior consumo?
Di contro c’è un’epoca in cui, senza nonni o zii a completa disposizione, la donna-mamma non riesce ad andare a lavorare. Magari un lavoro, prima, lo aveva; magari era anche brava a svolgerlo… Ma, sempre in tale epoca, c’è una grande chimera che incombe: il part-time. Alcuni ne parlano, altri giurano di averlo visto e perfino cavalcato. Rimane un mistero. In attesa di quella chimera, la specie ‘madre’ cerca di evolversi, accrescendo il suo multitasking e la sua parte creativa, ideando lavoretti qua e là, che il più delle volte – ahimè – sono solo riempitivi, in attesa del “cosa farò da grande”, o meglio, del “cosa fare quando i miei figli diventeranno grandi”. Il problema è l’implacabilità del passare del tempo, che scorre per tutti; quindi, se i cuccioli crescono, i già cresciuti invecchiano. Il problema dell’età esiste anche per le donne più giovani, perché la specie ‘datori di lavoro’ è restia ad assumere una femmina in epoca fertile; figurarsi in epoca matura.
Ricapitolando, una donna-madre può essere una donna-madre-lavoratrice in questi quattro casi: – Ha nonni/zii/cugini e specie similari alle spalle; non importa quanti anni abbiano, ho visto cose che voi umani… Irresponsabili uscite di corse al parco, da parte di responsabili anziani, instabili, muniti di bastone inutilizzato. O anche, responsabilizzate ragazzine irresponsabili, alle prese con problemi da figli mai avuti, né sognati, munite di cellulari incollati al palmo della mano. – E’ figlia o moglie di un Paperon de’ Paperoni di larga manica e larghe vedute; in questo caso via libera a tate, cuochi, gettonatissimi campus, autisti vari, insegnanti di recupero… Venghino signori venghino! – Il suo datore di lavoro, nuovo o ex che sia, le concede il fantomatico part-time; anche in questo caso poi i problemi da affrontare rimangono molti: D.A.D., vacanze estive, raffreddori ed esantemi di ogni tipo. – Il suo ingegno si sposa, con botta di fortuna – per non essere volgare – ed il prodotto del suo lavoretto riempitivo è nientepopodimeno che un capolavoro, che a furia di perseverare, trova il suo sbocco nell’oceano caotico dei monopòli, stile “Harry Potter” della casalinga-madre-single (allora lo era) Joanne Rowling; o ancora stile Joy Mangano, casalinga-madre-single inventrice del mocio auto-strizzante Miracle Mop, venduto in tutto il mondo. “Che lavoro fai?”, molti potrebbero chiedere all’eventuale madre di famiglia; la risposta potrebbe tranquillamente essere: “Quale dei tanti?”. Ma forse la definizione più corretta della posizione lavorativa è “madre provvisoriamente casalinga, babbana, in attesa di botta di…fortunato ingegno”.
di Fabio Valerio e Elisabetta di Michele