Uno dei temi affrontati da Platone nel Fedro è sicuramente l’importanza della parola, del parlare e del dialogo rispetto alla scrittura, con un mito di ambientazione egizia. Teuth, Dio della scrittura e della saggezza che inventa sempre grandi abilità, ogni volta approvate dal faraone con entusiasmo, propone a questi l’invenzione della scrittura. La presenta al faraone come un’invenzione magnifica e utile agli uomini per ricordare, ma Thamus, il faraone, disapprova sostenendo che questa abilità non sarà di ausilio agli uomini, ma anzi avrà proprio l’effetto contrario: usando la scrittura gli uomini non useranno più la memoria, infatti, proprio perché metteranno le cose per iscritto non avranno più necessità di ricordarle. Nel ricordare consiste la sapienza, mentre, secondo il faraone, la scrittura ha consentito un modo per tramandare il sapere altrui, che però non viene assimilato e capito, ma viene solo copiato; mentre nel ricordare risiede la sapienza. Qui possiamo vedere un parallelismo con quanto sostenuto da Platone sulla vera filosofia, quella orale, in riferimento e in onore al Maestro. Socrate, inoltre, ci dice che solo chi ha la coscienza di capire e non di copiare sa davvero.
Mi servo di questo mito platonico per portare alla nostra attenzione il problema, del cattivo uso della tecnologia e di come questa oggi sia idolatrata. I ragazzi e i ragazzini, bambini compresi, molto spesso studiano utilizzando internet, che sia da un cellulare o che sia da un computer, per fare i compiti, per fare delle ricerche, per ripassare le tabelline, risolvono velocemente la questione (e sottolineo velocemente!) non dando la giusta importanza né a ciò che stanno studiando, e lo studiano con molta molta superficialità, né allo strumento internet, che dovrebbe essere un arricchimento per lo studio e non un impoverimento; e in tutto questo il libro non viene toccato! Le nuove tecnologie da sole non sono in grado di creare persone dotte di queste generazioni, sicuramente sono delle finestre sul mondo, ma non sono adeguate a formare un livello culturale adeguato per gli uomini del futuro. Proprio come l’innovazione della scrittura portata dal Dio, così le nuove tecnologie possono sicuramente essere un valido strumento di studio se ben utilizzate. Ma se non c’è una guida per i giovani ad un sano e giusto utilizzo, si va a cadere in inconvenienti che poi risultano difficili da correggere, tra i quali possiamo sicuramente annoverare la superficialità, la “creduloneria”, l’eccesso di relazioni virtuali, la dipendenza, quest’ultima tra l’altro effetto gravissimo.
Per fare una ricerca, di letteratura o di storia dell’arte, di geografia, innanzitutto dobbiamo insegnare al giovane allievo come si fa una ricerca, come si conduce sui libri e il senso di usare internet in ausilio a questi: gli si deve spiegare il senso della ricerca e come si fa. Gli dobbiamo spiegare che la ricerca è un mezzo per studiare, un metodo che consente di memorizzare delle nozioni importanti già nel momento stesso in cui la si fa prorprio per l’impegno che richiede il “ricercare”. Chiaro che perde l’utilità se con estrema facilità e approssimazione l’allievo trova due frasi su internet, le mette insieme, nemmeno le scrive ma le ricopia su Word e poi eventualmente le stampa. Copiare quello che trova scritto senza leggerlo, elaborarlo e trascriverlo a parole proprie non ha davvero senso. Se non gli spieghiamo queste cose e oltretutto gli lasciamo carta bianca nell’utilizzare internet, non avremo mai il risultato sperato e avremo sicuramente sprecato una buona occasione per imparare.
C’è bisogno di un magister, ovvero di un maestro, per formare il sapere nel giovane e per fargli capire come vanno utilizzati gli strumenti, per fargli capire l’importanza del libro e per fargli capire l’importanza della consultazione di un’ enciclopedia, la quale raccomando che sia sempre presente in ogni casa, laddove possibile ovviamente. Il magister o la guida sicuramente e in primis deve essere un genitore, che limita l’uso di internet e del cellulare, poi sicuramente la scuola dove maestri e professori, nell’assegnazione dei compiti a casa, potrebbero richiedere, per fornire un’idea, esplicitamente che non si usi internet e decidere per cosa usarlo, insegnando ai ragazzi il valore di questo strumento, perché saperlo utilizzare è sempre bene, ma nel modo giusto. Una guida è indispensabile e molto spesso mi capita, nel seguire ragazzi nei compiti, di dover essere questa guida, fortunatamente.
Da dove cominciare? Innanzitutto, va limitato l’utilizzo del telefonino e di internet, e dunque si deve partire col definire bene un tempo dedicato allo studio e fargli capire che questo tempo non comprende il cellulare. Fargli capire che nel tempo dedicato allo studio si studia veramente e che, se occorre usare internet per i compiti, va fatto studiando ed imparando, altrimenti non serve. Se non impari lo studio non serve.
Insomma le tecnologie sono sicuramente una finestra sul mondo, come dicevo prima, ma da sole sono inadeguate a formare la cultura e molto spesso si utilizzano con ignoranza che rimane ignorante, perché non ci si è messo l’impegno. Se non ti impegni non impari e se non impari lo studio non serve. Quando dico che una controindicazione di questo modo di fare è la superficialità, intendo la superficialità dell’approccio allo studio, ma non solo, anche la superficialità con cui si usa uno strumento prezioso in modo approssimativo e senza apprezzarne il valore, perché se lo “ritrovano” e non se lo sono né conquistato né faticato, così come il compito che devono fare: se lo ritrovano fatto facilmente “tanto c’è Internet che lo fa al posto mio”. Essendo nozioni sempre a disposizione in realtà il giovane non le studia, le ricopia solamente, non apprendendo quello che dovrebbe studiare. Non è il voto la cosa importante, è ovvio che il voto è importante per superare la scuola e perché è il metro con il quale viene misurato quanto si è imparato quello che si doveva imparare, ma se quello che studia non plasma l’uomo che quel giovane è chiamato ad essere, vuol dire che non ha studiato bene e vuol dire che quel sapere è stato inutile, se non lo forma come persona non è un sapere.
Bisogna insegnare a questi ragazzi che non è solo il voto, ma è anche l’impegno che ci mettono per raggiungere quel voto e che è quello che hanno davvero assimilato che conta veramente. La cultura, attraverso l’azione del magister, forma tutto il giovane secondo quel processo continuo e costante che lo supporta nella realizzazione di se stesso come uomo, lo aiuta a “costruire” quell’intelligenza emotiva che lo renderà un uomo migliore e capace di relazionarsi emotivamente con gli altri. Sto parlando della paideia greca, intesa non solo come educazione, ma come formazione umana, nella quale confluiscono le capacità dell’insegnante/magister, inteso come guida.
La superficialità con la quale si affronta lo studio, poi, diviene un modus operandi proprio dei ragazzi che affrontano con leggerezza ogni impegno della quotidianità, non solo lo studio. L’unica cosa che adorano e che della quale si occupano con attenzione è il “telefonino” scrigno del sapere immenso (sono ironica ovviamente) dei vari social o video o youtuber di turno e così via. Sottolineo qui, come inconveniente – conseguenza di questa idolatria, il credere cieco e assoluto a tutto ciò che arriva da questi personaggi o dalle piattaforme varie, cosa che, a sua volta, comporta l’annientamento del proprio pensiero critico, ovvero non ragionano con la loro testa. Superficialità, credere ciecamente, eccesso di relazioni virtuali e dipendenza sono i macro problemi dovuti all’abuso di internet e provocano una serie di disturbi dello sviluppo, già notati dagli esperti molto prima della pandemia, che richiedono senz’altro un’intervento terapeutico, a meno che non riusciamo ad intervenire preventivamente sulla questione, che sono: problemi di memoria, di apprendimento e di iperattività.
L’intelligenza, dal latino inter – legere, intesa come saper scegliere, saper scegliere e risolvere, si perde se non insegniamo la riflessione, e il magister deve guidare l’allievo al gusto dell’apprendimento, deve stimolare il pensiero e il pensiero critico, che in questo momento i ragazzi perdono, manifestando una ridotta capacità verbale e una difficoltà nell’esprimere il proprio punto di vista. Sono plasmabili e hanno una vulnerabilità emozionale ed affettiva che li espone a questo rischio. Ritornare al dialogo per stimolare la mente, dialogo non solo come “parlare”, ma anche socratico se guidato da un maestro, pensare per immagini, che è uno specchio interiore, uno sguardo verso se stessi con la fantasia, sicuramente possono aiutarci a riequilibrare questa situazione ad evitare reazioni da astinenza e aggressività, se per togli l’oggetto idolatrato, ovvero il cellulare. Avete mai provato? Si rifiutano di dare il telefono all’adulto e superano il confine del rispetto del ruolo (genitore, professore o adulto di riferimento in quel momento) che cade totalmente privo di autorevolezza.
Prima di arrivare a questo, dobbiamo fare qualcosa subito, dobbiamo tutti noi adulti però essere sulla stessa linea educativa perché di certo la scuola da sola non ce la fa e i genitori da soli non ce la fanno; la scuola non può e non deve sostituire il genitore nel ruolo educativo che deve obbligatoriamente avere ed esercitare, lo può supportare, ma il “lavoro pedagogico” parte sicuramente dalla famiglia. Laddove possibile collaborare con un professionista, guida, maestro o anche psicologo, che abbia un’ampia formazione umanistica (non solo terapeutica), che abbia doti comunicative, nozioni pedagogiche, antropologiche, filosofiche per evitare meccanicismi che annientano il pensiero critico e riportarlo alla rinascita per avere in futuro essere umani, e non solo uomini, aperti ad una vastità di conoscenze, comprensivi verso l’altro e la sua diversità, solidali, che abbia intelligenza ma anche empatia.
Anna Lorenzini.